Cibo a chilometri zero cosa significa e cosa serve

Cibo a chilometri zero cosa significa e cosa serve

Cibo a chilometri zero, cosa significa effettivamente. E quanto è importante non solo per il supporto alle attività locali ma anche alla salute del pianeta?

“L’idea di “km zero”, originariamente riguardava la vendita di auto (e lo è ancora oggi), riferendosi ad auto che per qualche ragione sono registrate e numerate ma non sono mai state utilizzate, con alcuni svantaggi (meno colori e opzioni opzionali disponibili) ma molti vantaggi (consegna immediata e prezzi molto più bassi rispetto ai prezzi indicati) per gli acquirenti. Un mezzo alternativo a quello tradizionale di acquisto di un’auto, ma con risparmi sostanziali”. Questo lo diceva Carlin Petrini nel 2015 nel suo contributo al libro “Water Sustainability and 0 km: Slow Food”.

Si parla di cibo a chilometri zero riferendosi al cibo, di ogni genere, che viene prodotto, venduto e consumato localmente senza, quindi, spostamenti di merci sia su gomma, sia in treno, sia in aereo. Parliamo quindi una filiera di cibo non industriale che non ha molti margini di profitto ma garantisce una qualità che non si trova nei grandi supermercati.

Anche alcune catene di grandi supermercati, attualmente, hanno sposato parzialmente la politica del km zero, vendendo in reparti appositi i cibi locali, specialmente quelli di tradizione, che vincerebbero comunque la concorrenza con il cibo importato (chi comprerebbe una mozzarella tedesca invece di una mozzarella di bufala di Fisciano?

Questo concetto è rilevante sotto diversi punti, non ultimo l’autonomia alimentare delle comunità, che non devono dipendere dai produttori alimentari globali. Inoltre, come Slow Food ha dimostrato, la politica del km. 0 ha fatto letteralmente rinascere quelli che si chiamano giacimenti quindi prodotti e cibi tipici che erano stati abbandonati in parte a causa della mancanza di agricoltori o artigiani disponibili ad investirvi tempo e risorse, in parte per la bassa redditività, in parte perché dimenticati.

Un caso molto celebre è quello del Formaggio Montebore, presidio Slow Food, abbandonato per decenni sinché Roberto Grattone riuscì a rintracciare l’ultima casara in grado di farlo. Oggi il Montebore, prodotto da Vallenostra, è famoso in tutto il mondo. Ma lo stesso discorso si potrebbe fare per il vino Timorasso, anch’esso non più prodotto da decenni e poi riscoperto e lanciato a livello mondiale dal viticoltore Carlo Massa. Anche i paesi in via di sviluppo hanno ricevuto beneficio da questa politica, riscoprendo alcuni alimenti tradizionali che, diventando giacimenti gastronomici slow food, sono stati nuovamente coltivati, creando una almeno parziale autonomia alimentare per le comunità locali.

Il cibo a chilometri zero è poi una delle bandiere dell’Italia: per gli stranieri, specialmente per chi vive in paesi con culture alimentari completamente differenti, la prospettiva di mangiare qualcosa coltivato o allevato dietro a casa è molto attraente e fa parte di quel Made in Italy che da sempre costituisce vanto del nostro paese e richiamo turistico.

Miglia alimentari: km 0 non è sempre sinonimo di sostenibile

Nonostante la recente significativa preoccupazione del pubblico e l’attenzione dei media sull’impatto ambientale degli alimenti, che si è concentrata proprio sul km. Zero come garanzia di mancata emissione di gas a effetto serra in atmosfera, è ben noto che il trasporto del cibo contribuisce solo per l’11% alle emissioni di gas. La maggior parte delle emissioni è invece prodotta dalla produzione.

Diversi gruppi alimentari presentano un’alta intensità di GHG (emissione di gas effetto serra), per esempio, la carne rossa consuma circa il 150% in più di GHG rispetto a pollo o pesce. Pertanto, il cambiamento della dieta in questo senso, potrebbe ridurre l’impronta climatica di una famiglia media in modo assai maggiore rispetto all’acquisto di solo prodotti locali.

Il concetto di miglia alimentari, la distanza percorsa dal cibo prima di essere consumato, risale a un rapporto del 1994 intitolato “Rapporto sulle miglia alimentari: i pericoli del trasporto di alimenti a lunga distanza”.

Eppure, l’impronta alimentare (cioè il peso del contributo all’emissione di gas serra) di una persona è costituita soprattutto dalle emissioni dovute alla produzione.

Per questo, se l’obiettivo di chi è sensibile a questi temi è la riduzione della propria impronta alimentare, tre sono le voci da vagliare: spreco, stagionalità, dieta.

In realtà, infatti, non è importante da quanto lontano viene il tuo cibo quanto piuttosto quale cibo mangi e a quanto ne sprechi. Allo tesso modo, la stagionalità permette di mangiare cibi che sono disponibili solo in alcune parti dell’anno e che sono a portata di mano, con emissione di gas serra pari quasi a zero.

Un esempio abbastanza emblematico: i pomodori si mangiano in ogni stagione e arrivano da paesi caldi come Spagna e Marocco. Se i paesi a clima freddo volessero coltivarseli in loco, in serre riscaldate, genererebbero un’emissione di gas serra assai più elevata di quella dovuta al trasporto (anche se in alcuni paesi come la Svezia e l’Inghilterra i pomodori invernali sono coltivati utilizzando calore residuo, energia rinnovabile e sistemi idroponici altamente efficienti).

In conclusione: miglia alimentari e stile di vita

Mangiando cibo sia di stagione sia locale si può essere più certi che sia le emissioni di produzione sia quelle di trasporto siano limitate, senza contare che il cibo di stagione è più saporito, favorisce la sopravvivenza dei produttori locali e delle comunità alle quali appartengono.

Come abbiamo visto, per chi è sensibile all’emergenza ambientale è anche indispensabile prendere coscienza che un tipo di dieta o di abitudine ha un forte peso sull’inquinamento globale. La già citata carne rossa, ma, in generale tutti gli allevamenti intensivi sono negativi per l’ambiente.

Questo non significa che è indispensabile diventare vegani, basta rivolgersi ad allevamenti non intensivi, al caro vecchio pollo del contadino, ai manzi di lunga vita cresciuti all’erba. Con un po’ di attenzione e di ricerche si trovano aziende agricole di questo tipo. Quanto alla verdura, nessun pomodoro locale, anche di gran nome, avrà mai il sapore del tuo pomodoro, caldo di sole, staccato dalla pianta del tuo orto.



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