29 Apr Formaggi e vino, i grandi classici piemontesi
Formaggi e vino: i grandi Piemontesi si sposano fra loro
Formaggi e vino: la scorsa settimana abbiamo parlato di quei meravigliosi taglieri di formaggi abbinati a marmellate, verdura e frutta fresca che, con l’avanzare della primavera diventeranno sempre più desiderabili e golosi. Ci eravamo dati l’appuntamento per approfondire come abbinare formaggi e vino. E che formaggi e vino!
Non c‘è nulla di più invitante, su una tavola apparecchiata in giardino di qualche vassoio per la degustazione di specialità locali accompagnate dalle verdure novelle e dalla frutta della primavera.
La scorsa settimana abbiamo visto come abbinare formaggi e marmellate prediligendo i formaggi piemontesi, dal momento che ne esiste una grande varietà, non tutti sono sufficientemente conosciuti e comunque sono eccellenti.
Ed è dai Piemontesi che vogliamo ripartire, precisamente dai formaggi piemontesi DOP: Castelmagno DOP, Murazzano DOP, Raschera DOP, Robiola di Roccaverano DOP, Toma DOP.
Ma non esistono solo questi: non possiamo infatti dimenticare i formaggi piemontesi PAT: il Maccagno. Nomi suggestivi, per località di produzione suggestive e formaggi dalle caratteristiche ben definite, così straordinariamente unici che ci si potrebbe scrivere un libro.
Formaggi e vino: gli abbinamenti per territori
Il Castelmagno, formaggio di bassa montagna, nell’alta valle Grana, in provincia di Cuneo. Pascoli, aria frizzante che spira dalle Alpi Cozie, che mescola i profumi montani con quelli delle fioriture della bassa valle. Il latte monto nelle praterie alpine, gli inverni rigidi. Considerato il re dei formaggi, prodotto da latte vaccino, a pasta semidura, si riconosce dalla crosta sottile e liscia, giallastra, nelle forme giovani, che si inspessisce e diventa più scura durante l’invecchiamento. Il Castelmagno si caratterizza anche, nelle fasi di medio invecchiamento dalla lieve sbriciolatura durante il taglio, che viene immediatamente apprezzata dai commensali armati di crostini.
Cosa abbinare a questo re delle nevi? Qua la relazione formaggi e vini si fa di alto profilo: un vino che gli sia degno compare ma che possa anche vedersela con lui: Barolo o Barbaresco non temeranno la sida e, oltretutto, ne sono compaesani.
Il Murazzano ha altra tempra: sempre originario della provincia di Cuneo, è prevalentemente preparato con latte ovino, a pasta molle, fa parte della famiglia delle robiole ed è molto interessante per sfumature olfattive e gustative da giovane. Fresco può andar bene con i vini bianchi ma appena a media stagionatura sposa volentieri il suo vicino di casa, il Dolcetto di Dogliani.
Raschera: il nome deriva da quello di un laghetto nel comune di Magliano Alpi, a un passo dal mare, dal quale lo separano le Alpi Liguri. Nelle due versioni concesse dal disciplinare, da alpeggio cioè prodotto e stagionato nei comuni di Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Roburent, Roccaforte Mondovì, Pamparato, Ormea, Garessio e Magliano Alpi, oppure di territorio, cioè prodotto e stagionato in tutto il territorio vocato della provincia di Cuneo. A latte misto, di consistenza semidura ed elastica, con piccoli occhi aperti qua e là, e dalla tradizionale forma quadrata (ma ora lo si fa anche tondo), è un formaggio straordinariamente goloso e profumato. Lo annegheremo, per scherzo, s’intende, con Barbera d’Alba o di Dogliani.
E veniamo alla robiola di Roccaverano, il cui nome suggerisce abbondanti quarti di nobiltà, prodotta nelle province di Asti e di Alessandria, per la precisione nella Langa Astigiana nella Val Bormida e in Val Erro, accarezzate dalle brezze marine e battute dalla neve, in inverno. Le robiole variano con il variare delle erbe di cui si nutrono le capre, principali produttrici, talora in collaborazione con pecore o vacche. La pasta è bianca latte, il sapore tipico della robiola impreziosito, talora, da un sentore preminente di erba di campo. Le belle robioline di Roccaverano, allineate su un tagliere, saranno ben liete di accompagnarsi con un brillante Grignolino d’Asti.
E la Toma? Di latte vaccino, prodotta dalle alte vali sino alle pianure piemontesi. Notissimo e molto antico, si è guadagnato la fama attraverso lunghi anni di ristoro all’uomo dopo il lavoro dei campi, relegata com’era (la follia dei ricchi) ai ceti popolari. A pasta semidura, dolce dopo l’invecchiamento breve, acquista carattere da una lunga stagionatura, che gli intenditori vogliono anche di sei/otto mesi. La accompagneremo con due vini tipici della zona, che ne riflettono il carattere rigoroso: un barolo farà felici tutti e soprattutto lei.
I buonissimi PAT: sono, o saranno, famosi
E il Bruss, il Montebore, il Bettelmatt, il Plaisentif, la Paglierina, il Maccagno? Il Bruss con una petulante Barbera d’Alba; il Montebore con il suo bianco preferito, il prezioso Timorasso; il Bettelmatt, gioiello di montagna, con il Nebbiolo d’Alba; il Plaisentif, prodotto solamente quando in alpeggio i prati sono fioriti di violette, con il Dolcetto; la Paglierina fresca ama i bianchi, cortese e Timorasso, stagionata preferisce i vini rossi importanti, e non c’è nemmeno bisogno di citarli. E il Maccagno, il simpatico Maccagno della Valsesia, la Toma Maccagno a pasta semi morbida nella quale occhieggiano piccoli buchi? Cortese di Gavi di qualità eccelsa ben fresco o Barolo, non si scappa.
Come abbiamo visto, una delle regole vincenti nell’abbinare formaggi e vini e di scegliere prodotti degli stessi territori, perché, nati sulla stessa terra, esposti agli stessi venti, frutto di selezioni e perfezionamenti di secoli, hanno lo stesso carattere, la stessa impronta. Formaggi e vini poggiano loro piede sule zolle nella stessa maniera. E i Piemontesi, formaggio e vino, sanno di poter stare con la fronte molto alta sulla faccia della terra.