03 Dic Cardo, signore dell’inverno
Il cardo spontaneo è tipico di tutta la zona del Mediterraneo, Algeria, Marocco, Grecia, Spagna meridionale e cresce sulle coste scistose, sabbiose o calcaree del litorale.
Nell’antichità, i più poveri ne consumavano i gambi e il ricettacolo floreale. Se ne trovano cenni nella civiltà Egizia e, ancora prima, in quella Etiope. Viene citato da Plinio, che si scandalizzava che se ne facessero conserve destinate ai ricchi, giacché era nutrimento da poveri e nemmeno gli asini lo volevano mangiare. Ma evidentemente, i cuochi dei tempi, vedi Apicio, ne apprezzavano già il gusto e lo consideravano un ortaggio pregiato.
Cardo: un tonico naturale
Ricco di antiossidanti e antinfiammatori, sali minerali e vitamine, di bassissimo contenuto calorico e ricco di fibre, il cardo ha proprietà antibatteriche e combatte le infezioni intestinali. La presenza di sibilina, un composto appartenente alla famiglia dei flavonolignani, lo rende un efficace depurativo del fegato, inoltre ha proprietà digestive e contribuisce a tenere basso il colesterolo.
Il modo migliore per consumarlo è crudo, per sfruttarne al massimo le proprietà e gustarne l’aroma amarognolo ma delicato, che ricorda il carciofo, ma senza asprezza
Cardo ad oggi
Oggi, ogni volta che mangiamo un caldo dovremmo rivolgere un pensiero di ringraziamento a generazioni e generazioni di contadini, che hanno saputo trasformare una pianta amara e selvatica in un ortaggio tenero e carnoso. Tra tutte le pratiche colturali adottate quella che ha più profondamente contribuito a modificare le caratteristiche originali di questa pianta è l’imbiancamento, che consiste nell’impedire alla luce di raggiungere le parti della pianta destinate al consumo, rendendole tenere e bianche. Naturalmente la tecnica di l’imbianchimento varia fra regioni e in condizioni ambientali e climatiche diverse.
Cardo: la tecnica dell’imbianchimento
L’imbianchimento del cardo è abbastanza complesso in quanto, in genere, la pianta raggiunge una considerevole altezza e rincalzarlo significa seppellire quasi l’intera pianta, talora legando le foglie oppure avvolgendo le parti carnose in stracci, lasciando libero solo il ciuffo terminale.
Questo cardo, il nostro cardo, un ortaggio di pregio, nasce probabilmente intorno al Cinquecento appunto con il sistema dell’imbiancatura. Probabilmente i contadini notarono come diventavano bianchi e teneri alcuni ortaggi conservati al freddo delle cantine. Tuttavia, se estirpata, la pianta appassiva e si doveva quindi cercare un modo per mantenerla viva ma fare in modo che la luce non la colpisse. La si lasciò quindi a dimora, piegandola e ricoprendola di terra.
Dove si coltiva il cardo
Il cardo gobbo è tipico dei terreni sabbiosi tra Nizza Monferrato, Incisa Scapaccino e Castelnuovo Belbo. Si seminano a maggio e si raccolgono a ottobre. Non necessitano di acqua né concime. Unico trattamento è la tecnica di coltivazione. Sepolti, diventano gobbi, gonfi, carnosi e morbidi proprio nel tentativo di cercare la luce aprendosi un varco nel terreno.
Esistono molte varietà di cardi, e si mangiano tutti previa cottura. Solo il Gobbo di Nizza è così tenero che si presta ad essere sgranocchiato da crudo, magari intinto in una sontuosa Bagna Cauda.
La tradizione della cardicoltura è una tradizione di lavoro duro, di mani immerse nella terra e nel fango. Di piedi freddi negli stivali di gomma, di mani che si induriscono a contatto con la terra gelata. E la cardicultura, fino a non moltissimi anni fa, non era ripagata in proporzione allo sforzo.
Cardo: i suoi riconoscimenti
È stata Slow Food, con il suo Presidio, a stilare un disciplinare “che è una bandiera”, e a rendere il giusto omaggio all’ortaggio e a chi lo coltiva. Non molti. Ma almeno, oggi, il cardo gobbo è un ortaggio pregiato, e costoso.
Il disciplinare prevede che si usi solo la varietà Spadone, che è la più tipica della zona e non sono concessi pasticci chimici di alcun tipo.
Cardo: come si coltiva
Vengono seminati in maggio e si raccolgono ad ottobre. Il procedimento è laborioso e richiede una cura incredibile e una sorveglianza continua delle piante. Perché dopo la semina, occorre diradare le piantine per dare alle residue lo spazio per ingrandirsi. In genere, a settembre il cardo è maturo e comincia qui il processo di imbianchimento: lo si lega a tre quarti dell’altezza, lo si pone in un solco e lo si ricopre di terra, lasciando fuori solo le ultime foglie. Naturalmente, gli eventi atmosferici possono spostare la terra, quindi, è necessaria una sorveglianza rigorosa e l’aggiunta di terra, per mantenerli ben coperti. Una caratteristica dei campi di gobbi quasi pronti è che la terra si crepa, proprio sotto la spinta degli ortaggi in cerca di luce.
Cardo e tradizione
Più che un ortaggio, il cardo è un rito dell’inverno: fa parte della cultura della condivisione. Mangiato con la bagna cauda, portata in tavola in contenitori appoggiati sui fornelli, nei quali i commensali intingono i cardi bianchi, croccanti, deliziosi, è un bellissimo rito. Un rito che, al momento, dovremo rimandare. Dopo aver saltato i riti tipici della primavera, saltano anche quelli dell’autunno e dell’inverno. Ed è una disgrazia che ci colpisce profondamente, perché mangiare non è solo alimentarsi ma rivivere insieme la propria cultura e la propria storia di civiltà.