24 Dic Sistemi naturali per evitare le pandemie: riflettiamo sugli habitat
Se i sistemi naturali e il rispetto dell’ambiente avessero il potere di evitare le Pandemie? È uscito di recente sull’Ecologist a firma di Jennifer Stevens, Communications Manager per TreeSisters, il movimento di riforestazione guidato dalle donne, un interessante articolo che offre spunti di riflessione sui sistemi e rimedi naturali per evitare che una nuova pandemia possa colpire il nostro mondo.
In quest’articolo, Il Coronavirus è visto come una crisi del nostro mondo naturale ed è necessario trovare soluzioni per riportare la natura ad una “nuova normalità”.
Come si sia scatenata, quale sia stato il punto d’origine, da qualsiasi punto di vista si voglia sezionare la questione, le politiche per la salute pubblica, gli effetti della globalizzazione, è evidente che la crisi del Covid non è esclusivamente una crisi della società umana. C’è dell’altro, e molto: è una crisi globale del nostro mondo naturale.
Gli scienziati avvertono da anni che l’elevata biodiversità ha la capacità di interferire e influenzare la trasmissione di malattie zoonotiche. Con alti livelli di biodiversità animale, infatti, il numero di super diffusori – ospiti o vettori particolarmente efficienti nella diffusione di patogeni – viene bilanciato dalle specie che non si diffondono, riducendo la diffusione complessiva dei patogeni.
L’aumento delle malattie zoonotiche aumenta il potenziale di pandemie globali. Eppure, nonostante questi avvertimenti, i consumi aumentano e il saccheggio del pianeta continua.
Persino il sistema ed equilibrio tipici della natura possono poco contro la sistematica alterazione degli habitat naturali, con conseguenze sugli animali selvatici. L’alterazione degli habitat forestali, infatti, sconvolge le popolazioni di animali selvatici. Quando questi abitanti delle zone boscose avranno esaurito le scorte alimentari locali, si disperderanno ed entreranno in contatto con gli esseri umani. Proprio alcuni di questi piccoli animali sono noti per essere in grado di trasportare e trasmettere agenti patogeni infettivi. Quando torneremo alla “normalità” (ma quale normalità?), sarà indispensabile ridefinire il nostro rapporto con gli habitat naturali.
Contro le Pandemie, restituire il maltolto o della Riforestazione
Stiamo consumando a tutto spiano, stiamo prendendo alla natura: deve venire il momento di restituire. Forse non tutti avvertono che queta pandemia non è colpa di laboratori, di abitudini alimentari che possiamo definire stravaganti (e che sono adottate soprattutto dai più poveri), anche se, pur nella varietà di opinioni, di questa pandemia sarebbe stato l’elemento scatenante. La verità è che il mondo è in crisi d’ossigeno, per prima cosa.
E allora, invece delle deforestazioni selvagge degli ultimi decenni, bisognerebbe piantare alberi. È un gesto semplice, può farlo chiunque, nel piccolo del proprio giardino o terrazzo ma, soprattutto, dev’essere un impegno globale: ciò che noi emettiamo di carbonio, gli alberi tentano di sequestrarlo dall’atmosfera; raffreddano la Terra, regolano il ciclo dell’acqua e forniscono l’habitat per la fauna selvatica.
Il nuovo Rapporto del WWF, “Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?”, traccia un quadro allarmante di quanto i consumi dei paesi occidentali siano responsabili della deforestazione nei paesi extra UE. L’importazione di materie prime provenienti dalle foreste – legname, carni, soia, olio di palma, caffè, cacao, cuoio – è infatti causa del 10% della deforestazione globale: lo scrive infobuildingenergia.
Deforestazione: qualche numero
Negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari di terreni, principalmente nelle zone tropicali, un’area grande quanto la superficie dell’intera Unione Europea. Ogni anno si perdono circa 10 milioni di ettari di foresta che vengono convertiti in terreni agricoli destinati alla coltivazione di cereali per le industrie dell’allevamento. Questo cambiamento degli habitat e quindi della biodiversità, non soltanto impoverisce le comunità locali, che dalla foresta traggono sostentamento, ma rende il mondo più vulnerabile alle pandemie.
Una delle soluzioni più intelligenti e semplici è proprio il rimboschimento: quello su larga scala offre soluzioni riparatrici per una miriade di problemi di salute e ambientali di oggi.
Come sottolineato in un articolo recente di LEXAMBIENTE, Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente dal titolo Pandemie e perdita di habitat: quale il nesso?: “Molti studi hanno già dimostrato che l’attuale pandemia COVID-19 sia attribuibile al cosiddetto salto di specie o spillover, ossia il passaggio di un virus da una specie animale all’uomo, alla concomitante capacità del virus di replicarsi all’interno del nuovo ospite e infine alla capacità del virus di passare da un nuovo ospite all’altro. … Possiamo affermare in linea generale che per abbassare la probabilità di avere uno spillover è auspicabile condurre politiche di conservazione degli habitat e di mantenimento della biodiversità locale”.
Insomma, in crisi di ossigeno e sempre più soggetti, se le cose non cambieranno molto rapidamente, a pandemie più o meno gravi, come negli Stati Uniti, con la diffusione della malattia di Lyme nelle aree suburbane, vicine a quel che resta delle foreste, che ospitano le zecche portatrici del patogeno. Ma oltre la distruzione degli habitat, e di ecosistemi compromessi nei quali mancano, di fatto, i predatori delle specie infettanti (per esempio alcuni topi e pipistrelli), rilevanti sono anche alcuni cambiamenti genetici indotti dall’uomo ai vettori delle malattie, per esempio le zanzare, che sono diventate resistenti ai pesticidi.
Di fatto, facilitati dalla distruzione degli ecosistemi e dal riscaldamento globale, dall’inquinamento e dall’aumento della popolazione, milioni di specie sconosciute, anche di agenti patogeni, si avvicinerà sempre di più all’uomo.
Anche se i progetti di riforestazione sono ormai migliaia sembra una corsa contro il tempo. E di tempo, a quanto sembra, non ne abbiamo molto.